Capitolo XV
(trascrizione a
cura di Giovanni Lo Presti, Salvatore Salmeri e Massimo Tricamo)
Venne notizia in
città che in Francavilla non esistevano più di 7.000 Spagnuoli, per aversi gli
altri retirato nella città di Messina.
Quattro milazzesi si recano a Patti, dove però
vengono arrestati con l’accusa di spionaggio
Da più giorni a[d]dietro partirono per la città di Patti maestro
Silvestro Cullurà, maestro Domenico Oliva, maestro Saverio Maiorana e Pietro
Maiorana sopra una barca. Il Cullurà, col pretesto che da più tempo e dal
principio dell’Assedio si ritrovava in quella città un suo fratello cappuccino,
di fameglia in quel convento [e] nominato il Padre Fra [segue lacuna nella copia,
ndr] di Milazzo. L’altro d’Oliva non con altra intenzione che di farsi a vedere
d’una giovane dal medemo pretesa per moglie, n[omina]ta Vittorina[e] figlia di
P[adro]n Natale Camarda. E l’altri due per associamento delli nominati o per
bollore di gioventù o[p]pure per altra causa. Nel disbarco tutti furono posti
in carcere, spogliati d’ogni cosa, pure dalle vesti. E doppo furono rimessi
sino a Francavilla dal signor marchese di Lede, viceré spagnuolo. Da dove,
condotti poscia a Patti, con essere stati posti carcerati strettamente per
essere stati arrestati come spie.
Poiché s’avea
promulgato in questa città che detta città di Patti s’avea reso all’obedienza
dell’arme Cesaree (il che realmente seguì), come s’ha detto. Peronde li sudetti
di Cullurà e l’altri arrischiarono far la sudetta partenza. Ma doppo, retornata
a devozione delli Spagnuoli - nonostante che avessero accettato l’indulto
generale con aver venuto in questa città li giurati di quella, sottomettendosi
al vassallaggio dell’augustissimo Imperadore (il che pure si riferì), e
discorso col signor generale Zumiungen - li sudetti paesani inciamparono nella
disgrazia descritta. Anzi si promulgò allora che molto stentarono a non esser
tutti stati uccisi a furia di quel popolo come spie.
Trasporto con mule di munizioni sino al campo Tutte le
provisioni di guerra - di polvere, palle ed altri - in questo giorno si
trasportarono con quantità di mule da questa città al campo.
Giungono nel Porto di Milazzo da Napoli molte
tartane cariche di soldati di fanteria austriaci. Si attendono dall’Ungheria
altri diecimila soldati Vennero verso la sera molte tartane da Napoli
cariche di alcuni soldati di fanteria tudeschi con diversi cavalli, avendo
approdato nel Porto. Si riferì da molti, che vennero da Napoli, dovere fra
breve condursi in questa città altri diecemila soldati distaccati dall’Ungeria,
per complimento di tutte le truppe destinate per conquistarsi in ogni modo
questo Regno a nome di Sua Cesarea e Cattolica Maestà, col discacciamento totale
di tutti gli Spagnuoli.
15 giugno 1719
Si aggiungono altre truppe imperiali provenienti da
Napoli, raggiungendo il numero di 2500 unità 15 [giugno, ndr]. Pure in questo giorno approdarono in questo porto due
navi inglesi con quattro palanche ben grosse venute da Napoli, cariche d’altre
squadre tudesche. Tanto che queste, con l’altre venute il giorno scorso, furono
al numero di 2.500, le quali tutte si conferirono con l’altre nel campo.
16 giugno 1719
Gli ufficiali austriaci con le proprie truppe,
previa disposizione dei generali Zumjungen e Mercij, preparano l’occorrente per
la loro partenza da Milazzo, avendo cura di non far comprendere al nemico le
proprie intenzioni 16
giugno. In questo giorno con ogni sollecitudine ed accuratezza, d’ordine delli
signori generali Zumjungen e Mercij, si disbrigarono tutti gli officiali
tudeschi colle loro truppe, con aversi ognuno approntato il suo bagaglio nella
Piana, ove esistea l’esercito. Perloché si penetrò dover realmente sortire la
marcia, non sapendosi bensì per qual luogo dovesse instradarsi. Ma -
osservandosi che tutto il bagaglio del signor generale Zumjungen, qual era
stato trasportato dal convento di San Domenico in detto campo, recondursi con
molti carri nel convento sudetto ben tardi
- apportò altra considerazione differente da quella che pria si congietturava
per la partenza sudetta. E ciò nonostante si vidde altro stratagemma, poiché il
medemo bagaglio nella notte da nuovo fu trasportato nascostamente nel campo
sudetto. Tanto che sino al giorno sussequentemente non si penetrò quest’operazione. Si discorse allora aversi ciò
adoprato per tener sospesi gli Spagnuoli a non penetrare con ogni distinzione gli
trattati delle truppe tedesche adoprati dalli loro comandanti.
17 giugno 1719
Le truppe imperiali iniziano a marciare con
destinazione Francavilla abbandonando l’accampamento di Milazzo allestito nella
Piana 17
giugno. All’alba tutto il campo tudesco, qual si ritrovava in questa Piana,
unitamente con tutte quelle truppe accampate fuori le porte della città e nel
Purracchito, cossì di cavalleria come di fanteria, principiò la marcia. Con
aver preso il camino per la marina di Ponente, instradandosi doppo per il fiume
di Rozzolino [torrente Patrì, ndr]. E
la sera si fece alto nella fiumara di Rodì, ove persistette tutta la notte.
Affermandosi in quel tempo che le truppe di fanteria fosse[ro] state al numero
di 25.000 mila; e di cavalleria al numero di 5.000 con quelle dell’Usseri. Con
aver rimasto in questa città per sua guernizione e di presidio da 2.500 soldati
col comandante espressato.
Giunge da Siracusa il capitano Bagnoli del
reggimento Saluzzo per riunire i militari piemontesi Comparì in città
il signor capitan Bagnoli, piemontese del regimento di Salluzio, qual si
conferì con barca dalla città di
Siragosa per far raccolta di soldati della sua nazione.
Partenza verso Capo Rasocolmo di tartane e navi
britanniche cariche di munizioni e viveri per le truppe imperiali Tutte
l’imbarcazioni, così di navi inglesi come di tartane, le quali si ritrovavano
in questo porto da più giorni scorsi sino a quello espressato, presero la
partenza verso il Capo di Raisiculmo. Si
disse che, per essere state cariche
di molte provisioni di guerra e di viveri, dovessero passare per il Canale [Stretto, ndr] della città di Messina,
colla condotta di dette provisioni per le truppe tudesche.
18 giugno 1719
Quattro galere spagnole attaccano in prossimità del
Capo una tartana carica di 250 soldati austriaci. Giungono in Porto, da Napoli,
tre tartane cariche di munizioni e soldati imperiali 18 giugno.
Quattro galere di Spagna, essendo di passaggio conforme al solito sopra il Capo
di questa città, investirono una tartana carica con 250 soldati tudeschi. E
doppo il disparo di quaranta cannonate la predarono, con aversela condotta
seco. Pure vennero in questo porto tre tartane cariche di alcuni soldati
tudeschi con molte provisioni di guerra inviate da Napoli.
19 giugno 1719
Giungono da Napoli altre truppe che si accampano
sotto il «monte di S. Rocco» 19 giugno. Sul tardi approdarono in
questo porto molte navi e tartane venute da Napoli con molte truppe di
cavalleria ed infanteria, le quali s’accamparono fori la città, sotto il monte
di San Rocco.
L’esercito imperiale a poca distanza da quello
spagnolo
Si publicò in città che l’esercito tudesco, avendo proseguito il suo camino
nella traccia di quello delli Spagnuoli, si retrovasse a vista del campo di
essi Spagnuoli vicino a Francavilla. Riguardandosi l’uno e l’altro per la puoca
distanza tra loro.
Il comandante austriaco della Piazza di Milazzo si
trasferisce con tutta la famiglia nel Palazzo del Governatore, che torna così
ad ospitare la massima autorità militare cittadina: il governatore Il signor
coronello tudesco, comandante in questa città, qual s’avea trattenuto nella
Cittadella, in questo giorno portò tutto il suo bagaglio ed equipaggio nel
Borgo e nel palazzo ove sempre solevano albergare li comandanti per il passato,
nella contrada della chiesa di Santa Maria la Catena. E la sera commorò in detto
palazzo con la signora moglie e fameglia, in esso trattenendosi per sempre.
20 giugno 1719
Partenza per Messina, Napoli e Calabria delle
imbarcazioni ancorate nel porto. Trattasi dei navigli che avevano sbarcato le
truppe accampate nel Purracchito (sotto il «monte di S. Rocco») 20 giugno.
Tutte l’imbarcazioni retrovate in questo porto partirono per il Faro di Messina
e per Napoli, e per Calabria. Con aversi accampato tutte quelle truppe tudesche
ultimamente venute fori la Porta di Palermo, nel Purracchito (sotto il monte di
San Rocco).
21 giugno 1719
Atti di vandalismo delle truppe spagnole
nell’hinterland con la collaborazione dei civili 21 giugno.
Publicamente si dicea che, con tutto che gli Spagnuoli s’avessero allontanato
da questo territorio e Comarca, con aversi partito per Francavilla quasi
fuggitivi, non perciò non sono stati ben visti da tutti gli paesani della
Comarca. Anzi quasi tutti questi volevano seguire il partito di quelli.
Perloché, dimostrandosi loro parziali, li Spagnuoli colla guida di detti
paesani hanno azzardato far molte scorrerie sino nella fiumara di Rodì,
territorio della città del Castro Reale, da miglia dodeci distante da questa
città, ove s’intesero la notte precedente il disparo di quantità di schioppi.
Pattuglia di cavalleria imperiale (composta da 100
unità) attaccata dagli Spagnoli in contrada S. Domenico a S. Filippo del Mela,
presso il Floripotema. Venne inseguita sino quasi a Porta Messina, forse con la
collaborazione di alcuni abitanti dell’hinterland Ad ore ventitré
uscì da questa città una battuglia di cavalleria al numero di cento. Fu sino la
fiumara di Santa Lucia per la Marina. E ritrovandosi nella contrada nominata di
San Domenico, sopra il fegho [feudo, ndr]
di Cattafi seu dell’Archi, li furono disparate molte scopettate dalla parte di
sopra. Perloché li sudetti soldati a cavallo, qual erano nella Marina, furono
costretti retirarsi in questa città, domentre furono incalzati a scopettate
sino al loco del convento di San Francesco di Paola, un tiro di schioppo
lontano dalla Porta di Messina. Si congietturò che la sequela avuta - o dalli
Spagnuoli soli o accompagnati dalli paesani della Comarca - avesse avanzato a
detti cavalli. Il più probabile fu che, nell’assalto avuto, questa cavalleria
fosse stata incalzata da molta quantità di villani di questa Comarca, li quali
molto prattici nel paese sapeano ove condursi per danneggiare la cavalleria tudesca.
22 giugno 1719
Indiscrezioni sulle perdite di entrambi gli
schieramenti a Francavilla 22 giugno. Concorsero così in detto giorno, come in
altri scorsi e susseguenti, molte e varie dicerie. Chi affermava che le truppe
tudesche avessero superato un passo molto scozzese [scosceso, ndr] e montuoso, nel quale perirono da centocinquanta di
esse nel fiume di Tre Fontane, colla perdita di più di 500 Spagnuoli, li quali restarono
superati nel conflitto di detto passo. Altri raccontavano, al contrario, con
aver indefesse le truppe Spagnuole con ogni guagliardia sostenuto il passo
senz’alcun loro detrimento. Tanto che l’esercito loro s’abbia accampato
liberamente vicino Francavilla, sostenendo gli loro posti in luoghi delli quali
per nessun modo poteano esser discacciati, per esser tutti forniti colle
trinciere e molt’altri ripari convenienti.
Indiscrezioni - infondate a parere dell’autore -
sulla penuria di viveri tra le truppe imperiali Altri,
trameschiando molte novelle, raccontavano che le nostre truppe tudesche essere
state poste in luogo, ove in nessun modo poteano dislocare senza molta perdita
di loro, ritrovandosi tutte cinte dalli Spagnuoli. Anzi, molto sgomentate per
la scarsezza di viveri, dell’acqua e del vino. Il che sembrava - fra l’altre
circostanze - molto strano, poiché tutto l’esercito della Cesarea e Cattolica
Maestà, tutte le volte fosse stato vicino Francavilla, in nessun modo puotea
patire per l’acqua, per ritrovanzi [ritrovarsi,
ndr] nonché fonti, [ma addirittura] fiumare spatiose. Ed inoltre l’esercito
sudetto, nella partenza fece da questa città in traccia del nemico Spagnuolo,
andò fornito di molte e molte provisioni. E di farine e vini ed altri.
Ulteriori indiscrezioni, ancora una volta sul numero
dei caduti a Francavilla Molti attestavano che, volendo le truppe tudesche
superare le trinciere delli Spagnuoli (per aver libero il passaggio col
discacciamento di quelli), perloché s’avesse fatto un conflitto molto
sanguinoso, avessero rimasto nella maggior parte trucidate. Colla morte pure di
quantità delli principali generali ed officiali, li quali volsero complire
colla sua generosità al servizio della Cesarea Maestà. Alcuni dissero che le
sudette truppe tudesche, animosamente guerreggiando, superarono gli Spagnuoli,
coll’uccisione di quantità di loro. Con averli rimasto libera la strada per la
quale commodamente s’instradarono per la marina di Levante, puoco distante
dalla città di Messina. Nondimeno, non puotendosi penetrare realmente la
verità, si stava in questa città con qualche perturbazione, volendo ognuno che
le nuove che si stavano attendendo dovessero succedere come era il suo genio.
Col totale discacciamento del nemico Spagnuolo e gli avanzi nel real servizio
di Sua Cattolica e Cesarea Maestà.
23 giugno 1719
Civili impossibilitati a recarsi nella Piana presso
i propri appezzamenti a causa della presenza minacciosa d’una parte del contado
dell’hinterland schierato con gli Spagnoli, i quali tuttavia non avrebbero
infierito ai danni della popolazione milazzese, la quale in passato aveva
adempiuto ai suoi obblighi 23 giugno.
Con tutto che la bontà divina s’avesse compiaciuta togliere le gravi afflizioni
a questa povera città, con aversi slogato tutto l’esercito spagnuolo dalla
Piana doppo l’assedio così veemente per tanto tempo, respirando gli cittadini
almeno per non più soggiacere ad una morte repentina cagionata dalle bombe e
palle di cannoni (il che sovente si vidde in molti loro concittadini trucidati
disgraziatamente, con aver tolerato inoltre la perdita di ogni loro stabile e
mobile), pure li venne intercetto il puoter più uscire in detta Piana per
osservare almeno le reliquie delli loro dissipati effetti e possessioni o per
altri negozij. Per causa che molti villani della comarca, spalleggiati d’altri
paesani (li quali s’aveano millantato d’aver gli megliori posti e dignità per
tutta questa comarca), soggiacendo questa città alla violenza delli Spagnuoli
colla caduta nelle loro mani. Con tutto che ciò s’avesse presupposto dalli
medemi paesani. Non puotendo in nessun modo succedere, pure in qualunque
sinistro evento che per disgrazia avesse patito questa città, per aver essa
sempre complito col suo dovere. Il che era nonché riguardato con
molt’attenzione, ammirato pure delli stessi nemici Spagnuoli. Al contrario
delli medemi paesani della comarca, li quali sempre furono riguardati con
occhio torbito dalli Spagnuoli, ancorché demostrassero esserli benevoli ed
affezionati per loro giustificati motivi. Conforme, da tutti quei comandanti
spagnuoli publicamente s’attestò quest’istessi villani arditi con ogni
sfacciataggine presero l’arme a favore delli Spagnuoli, predando svelatamente agli
abitatori di questa città.
L’aristocratico milazzese Costantino D’Amico affida
ad una trentina di persone munite di asini e buoi il trasporto verso il centro
urbano del suo vino imbottato nella proprietà di S. Basilio a S. Marina. Rimane
tuttavia vittima delle razzie dei malviventi dell’hintelard, che depredano le
sue proprietà di S. Basilio. Anzi, nel giorno de’ 29 giugno nella
Piana, inviate trenta persone colle loro balduine [asine, ndr] e due carri dal signor Don Costantino D’Amico nel suo
luogo nella contrada S. Basile (vicino il casale di Santa Marina), per lo
trasporto del suo vino - qual tenea nel medemo luogo ripostato - per condurlo
in questa città, non solamente furono arrestate nella maggior parte e
trattenute sudette persone, con essere trasportate da detti villani, ma pure si
trattennero tutto il vino con le cavalcature e bovi al numero di trenta. Anzi,
processero con molto rigore - anco con bastonare - gli poveretti. E legandoli
strettamente, li quali andarono per lucrarsi il vitto col travaglio, con averli
trasportato nella città di Santa Lucia. Ed, inoltre, per aversi ritrovato in
detto luogo il signor Don Giacomo D’Amico ed il sacerdote Don Saverio d’Amico,
[rispettivamente] coggino e figlio del sudetto signor Don Costantino, che
voleano placare l’insolenza di detti villani, non puoterono superare alcun
sollievo. Anzi assassinarono [depredarono,
ndr] gli villani tutto il mobile che nelle case del detto D’Amico si ritrovava
esistente in detto suo fegho [feudo,
ndr]. Pure con alcuni animali porcini. Facendo publicamente il bottino siccome
avessero guadagnato il posto a forza d’arme. E sovragiunti in detto loco il
sacerdote Don Marcello, fratello del detto signor Don Giacomo, ed il signor Don
Giuseppe D’Amico, fratello del Don Saverio, ed intesa la barbarie delli
villani, li quali colla preda s’aveano condotto nella città di Santa Lucia,
seguirono quelli il medemo camino. Ove, discorso il procedere inragionevole
dalli villani tentato col coronello spagnuolo che in detta città governava,
ottennero da questo comandante che li fosse per intiero restituita tutta la
preda per essere stata fatta indebitamente. E, ciò nonostante, non volse
condescendere alla restituizione il capitano della terra del Gisso e di
Monforte, qual si retrovò con detti villani nell’assassinio sudetto, asserendo
che l’ordine di detto comandante era stato ottenuto surrettiziamente. E per
retrovarsi in campagna detto capitano con detti villani non si eseguì l’ordine.
Tanto che si trattennero e gli bovi con gl’altri animali, ed il vino e tutto il
mobile predato.
[A questo punto nella copia al margine della
pagina viene riportata la seguente nota, ndr]: questo fu a 29 giugno e però
si pose il petazzo [sorta di nota a piè di pagina, allegato,
ndr]; per delucidazione del vero si potrà osservare e l’uno e l’altro. [Di seguito si trascrive pertanto l’altra versione
dei fatti, ndr].
Il saccheggio di S. Basilio in un’altra versione dei
fatti, dalla quale si evince che i malviventi provenivano da Monforte e
Saponara, entrambi comuni della “comarca” Don Costantino d’Amico, avendo
quantità di vino ripostato nel suo magazeno [che] teneva nella contrada di San
Basilio, vicino al casale di Santa Marina, inviò molti bordonari [conduttori di animali da soma, ndr] con li suoi balduini e due carri con li
suoi bovi per trasportar sudetto suo vino in questa città. Ed essendo detto
vino quasi tutto caricato, sovragiunsero quantità di persone di Monforti e di
Saponara, tutti armati sotto la condotta di Don Marco Cuminale, capitano di
detta terra di Monforte, e di Don Giuseppe Vajola, capitano di detta terra di
Saponara. Quali violentemente arrestarono a dette persone che procuravano
effettuarsi lo trasporto di detto vino, con averli preso trenta baldoini, con
averne solamente scappato quattro. Di più quattro bovi e dicidotto salme [oltre 14 ettolitri, una «salma di Milazzo» corrispondeva infatti ad 80 litri, ndr] di
detto vino, un porco, un cavallo ed una giumenta. E doppo saccheggiarono
sudetto magazeno di tutto il mobile, con aver gettato quantità di vino in
terra. E di ciò non contenti, con molta violenza - non avendo riguardo alla
nascita del detto di Amico - catturarono al sacerdote Don Saverio d’Amico,
figlio del medemo Don Costantino, qual in detto casino [la villa che sorgeva nell’appezzamento, il casino di villeggiatura, ndr]
si retrovava, volendolo uccidere, mettendoli li schioppi inserragliati nel
petto. Che per miracolo ne scampò la vita. Poscia, con molti strapazzi [e] con
guardie a vista, lo menar[o]no innanzi il comandante angioino [spagnolo, ndr] nella città di Santa
Lucia, accusandolo che inviava viveri alli Tedeschi in città. E con tutto che
quel comandante avesse conosciuto essere invenzione dei cennati, per rubbarli
detto vino e trattenersi gli animali, lo licenziò. Ma essi, per aversi
dipartito detto comandante, arrestarono al sudetto sacerdote Don Giuseppe [Saverio, ndr] D’Amico con altro suo
fratello nel fegho di Faraone. E colà li trattennero prigionieri due giorni in
una stanza con guardie, nominandoli non con altro nome che di [segue lacuna nella copia, ndr], per
esser milazzesi fidelissimi vassalli dell’augusto Padrone. E doppo grandissimi
stenti l’escarcerarono, trattenendosi tutta sudetta robba, oltre a[l]le
cavalcature che con loro reportarono. Sudetta robba fu dalli capitani divisa
che allora comandavano le Milizie paesane
ed essi genti della milizia stessa, restando in loro potere molti balduini e
tre bovi, con tutto il mobile furato [rubato,
ndr]. E per aver magior campo a colorir il [segue
lacuna nella copia, ndr] presero testimonij che detta robba fu tolta poiché
la vol… [lacuna nella copia, ndr]
condur in questa città per servizio de’ Tudeschi nemici. Ma, [segue lacuna nella copia, ndr] a Sua
Eccellenza [il viceré, ndr], col
tempo si desistò delegato in Monforte detto di Cuminale, spogliato del mobile,
e d’una aromataria …dotta [lacuna nella
copia, ndr] in questa città, fugiasco processato e pagò la pena per il
delitto, non potendo dell’intutto soddisfarla.
Milazzo
saccheggiata da malviventi dei comuni dell’hinterland. Le ruberie giustificate
dalla collocazione politica antispagnola dei Milazzesi Allora in città
si volse penetrare chi fossero stati quegli che commesero quest’eccesso ed
altri consimili, tanto alcuni giorni innanzi come susseguenti. E s’ebbe piena
contezza che non solamente tutti gli villani della Comarca da Saponara verso
Levante sino a Patti da Ponente, ancora quelli che da più anni solevano
commorare in questa Piana nelli luoghi di questi cittadini, avvezzi alli
latrocinij e furti. Anzi, per vivere senza travaglio, s’avessero uniti per
assassinare - guidati d’alcuni che si stimavano principali nelle città e terre
della Comarca, quando peraltro erano più peggiori ladri questi di quelli - tutto
il territorio di questa povera città, col pretesto che fosse stata rubelle alli
Spagnuoli. Peronde s’aumentarono l’angustie e tribulazioni di tutti questi
poveri cittadini, allorché si credea che dell’intutto fossero state scemate. Ma
doppiamente s’aumentarono per la notizia avuta che dal signor comandante Don
Luca Spinola, allor governadore nella città di Messina, s’avesse[ro] inviato
più espressi con lettere circolari per tutta la Comarca per rendersi, stando
sempre coll’arme all’obedienza del Re di Spagna. Onde quasi tutti
l’effettuarono con molto giubilo, nomandosi per li principali quei della città
di Puzzo di Gotto e del Castro Reale colli suoi casali. Li quali hanno avuto
più campo come sfacendati di rubbare questo territorio e la Piana per insino
dietro le porte di questa città.
Pietro D’Amico,
capitano al servizio imperiale a Reggio, torna a Milazzo coi figli sperando in
un suo trasferimento in Sicilia, tanto più che in passato aveva ricoperto una
carica per la corona di Spagna proprio nei territori montuosi, a lui dunque ben
noti, che conducevano a Francavilla. Ma la sua richiesta non viene accolta e
torna a Reggio
Per aver dimorato da più giorni in questa città il signor Don Pietro D’Amico
colli signori Don Aloisio e Don Giuseppe, suoi figli. Venuti dalla città di
Reggio nella Calabria, ove teneano il soldo dell’augustissimo imperadore da più
anni: da capitani li primi e da tenente l’ultimo. In questo giorno il padre con
l’ultimo figlio fecero la partenza per Reggio, restando l’altro per accudere
col signor generale di Mercij e con l’altro signor di Zumjungen per l’interessi
e pretenzioni di tutti. Giaché s’aveano conferito in questa con lettere di
raccomandazione dal comandante di quella piazza alli sudetti signori generali,
sperando aver l’impiego in questo Regno condecente alla milizia fatta per
servizio di Sua Cesarea e Catolica Maestà. Con tutto che il detto signor Don
Pietro s’avesse partito con poca sua sodisfazione, domentre sperava che nella
condotta dell’esercito tudesco verso Francavilla per le montagne se li fosse
stato dato alcun posto. Poiché per più anni il medemo, governando l’arme
spagnuole nel Regno, fu capitan d’arme del Valdemone e perciò molto prattico
nelle montagne, nella desolazione degli banniti [banditi, ndr]. Ma andarono in fallo le sue speranze.
I comandi
militari imperiali impegnati a trasferire in Sicilia viveri e truppe per la
conquista dell’intera Isola Publicamente si vociferò in città che in tutta la
Calabria non s’attendea ad altro da molti officiali e ministri dell’augustissimo
imperadore, specialmente dal presidente Garezzaro, che in fare provisione di
viveri e d’imbarcazioni per condursi in questo Regno le vettovaglie e le truppe
cesaree, per esser molto impegnata Sua Cesarea e Catolica Maestà nella
conquista del Regno a forza d’arme col discacciamento intiero degli Spagnuoli
[e] Savojardi.
Relazione edita a Madrid per i tipi di Juan de Ariztia, 1719
24 giugno 1719
La Battaglia di
Francavilla del 20 giugno 1719 raccontata da alcuni testimoni oculari milazzesi 24 giugno.
Nella partenza fatta dall’esercito tudesco da questa città - prendendo il
camino per le montagne per fugare gli Spagnuoli da Francavilla, ove s’avea
inteso aversi questi refugiato - furono condotte molte persone travagliatori
con li suoi balduini [asini, ndr] per
lo trasporto d’alcune robbe degli officiali e loro bagaglio. Ed in questo
giorno sul Vespro retornarono sei di detti paesani nominati Emiliano Locandro,
Francesco e Giovanni Irato, Giuseppe Mondello, Antonio Greco e Francesco
Scalzo. Riferirono tutti che le truppe tudesche con li loro officiali e
comandanti, doppo aversi trattenuto nel casale di Rodì per una notte, partirono
all’alba seguendo il camino per la fiumara di Tre Fontane. Ed avendo asceso la
montagna con molta loro fatiga, doppo discesero nel fiume sotto la terra di
Francavilla, martedì sotto li 20 di detto mese, ove con ogni sollecitudine e
diligenza pretesero salire il ponte di detta terra. Ma li Spagnuoli,
demostrando voler fuggirsene, trattennero le truppe tudesche nell’ascendere.
Bensì doppo, impensatamente, si posero nelle trinciere e principiarono a far
fuoco contro dette truppe. E per essersi molto bene trincerati e dalla parte
superiore, e l’esercito tudesco dalla parte inferiore, seguì nel conflitto
grandissima stragge di soldati tudeschi con l’uccisione di molti cavalli,
specialmente perirono molt’officiali. Li quali, volendosi demostrare generosi, complendo
da cavalieri armigeri e col proprio obligo in servizio della Maestà Cesarea e
Catolica, facendo animo alle loro truppe fu vuopo succumbere colla perdita
della vita. Per certo, come doppo venne la relazione, si demostrarono molto
valorosi, tanto che se non avesse stata la bravura di detti officiali avrebbe
successo peggior uccisione delli sudetti tudeschi. Non perciò l’esercito
spagnuolo andò esente dalla stragge, poiché molti di loro pure perirono. Con
tutto che s’avessero ritrovato nelle loro trinciere ed in parte superiore, allorché
li Tudeschi voleano superare le dette trinciere con il loro disaggio, domentre
doveano ascendere per gli luoghi disaggiosi senza poter andare squadronati.
Inoltre il signor generale di Mercij, demostrando la sua indefessa e costante guagliardia,
facendo il suo carico nonché da comandante d’un così fiorito esercito, [ma
anche] da soldato valoroso, restò benché leggermente ferito.
I suddetti
testimoni, di ritorno a Milazzo, catturati da civili filo-spagnoli nel
territorio comunale di Castroreale. Successivamente vengono rilasciati Di più - riferirono
li sudetti paesani - che tutti gli feriti tudeschi, per essere stati in molta
quantità, furono condotti dalla parte di sotto scortati d’alcune truppe di
cavalleria per la Marina, verso lo scaro nominato delli Giardini. Alcuni delli
sudetti pure attestarono che nel campo tudesco s’avesse ritrovato molta
scarsezza di pane e vino,[ma] se ciò fosse stato veridico non si puotè
verificare. E finalmente raccontarono che, da essi osservato da lungi il
conflitto delli due eserciti, con aver rimasto molti e molti uccisi ed alcuni
gravemente feriti, molto spaventati il giovedì 22 di detto mese si partirono
tutti con detti loro balduini, instradandosi verso questa città. E, gionti
nella fiumara di sotto la città del Castro Reale, furono tutti assaltati d’alcuni
villani di essa città e suo territorio, per essere stati alla devozione delli
Spagnuoli, coll’arme in mano e condotti prigionieri in detta città. Da dove
furono trasferiti nella città di Santa Lucia, ove, trattenuti per tutta la
notte, la mattina seguente dovevano esse condotti nella città di Messina
d’alcuni villani. Ma o per amicizia tra essi prima contratta, per essere stati
conoscenti e d’una medema condizione, o per altra cagione da essi non penetrata,
furono lasciati liberi con facoltà di potersene retornare in questa sua [loro, ndr] patria. Bensì nella presa
furono spogliati nonché di tutto quello che aveano, [pure] delle robbe che
tenevano addosso. E di più delle loro cavalcature.
25 giugno 1719
Emergenza
malviventi nei comuni dell’hinterland ai danni dei Milazzesi In questo
giorno si conferì dalla città di Santa Lucia in questa il sacerdote Don
Marcello D’Amico, con aver riferito a questo signor coronello tudesco,
comandante della Piazza, tutto quello seguì nel luogo del signor Don Costantino
D’Amico colla presa delli bovi e cavalcature delli paesani di questa. E del
mobile ed animali derubbati dalli villani della Comarca. Ed inoltre che in
detta città di Santa Lucia presidea un comandante spagnuolo, sotto il di cui
dominio si governava quasi tutta questa Comarca, persistendo questa sino a quel
tempo alla devozione dell’arme spagnuole e commettendo ogni giorno molti furti
in questo territorio. Anzi, ritrovando qualsisia persona di questa città,
ancorché in alieno territorio, nell’instante la spogliavano pure delle vesti,
conducendola in detta città di Santa Lucia a quel comandante spagnuolo come
rubella. E benché dal medemo comandante s’avesse fatto reflessione che non
meritavano gli abitatori di questa simili violenze, giaché si ritrovavano per
gli loro negozij e senz’arme, e senz’alcuna sospezione [sospetto, ndr] né di tradimento, né di condotta di lettere, non
perciò non restavano spogliati e composti di più per retornarsene liberi.
Pure
uscirono in questa Piana cento cavalli tudeschi con alcune truppe di granatieri
per resistere in qualche parte alle scorrerie che sovente facevano gli villani
di questa Comarca. Li quali in ogni modo, come prattici del paese, cossì di
giorno come di notte, assassinavano tutto quello che di mobile in questa Piana
si ritrovava.
26 giugno 1719
Accampamento
imperiale a Mascali e Taormina 26 giugno. Partirono la sera molte
soldatesche tudesche - al numero di quattrocento - con alcune tartane rimaste
inferme, allorché fece la partenza l’armata per conferirsi in Reggio, da dove devono
passare al campo, il quale si ritrova nella Marina di Mascari e Tavormina.
Poiché s’hebbe relazione veridica dal comandante in quella città, diretta a
questo in questa Piazza, che l’armata partita da questa città in traccia delli
Spagnuoli sino sotto Francavilla s’abbia trasferita in quella Marina. Nella
quale pure esistevano tutte l’imbarcazioni colle provisioni di guerra e di
viveri per tutto l’esercito tudesco, dovendo questi instradarsi verso Messina,
così per mare come per terra.
Cossì
il giorno trascorso, come in questo, s’ha inteso il disparo di molte cannonate,
non sapendosi se seguirono nel Faro di Messina dalle navi inglesi o[p]pure
nella Marina menzionata di Tavormina o in altra parte più vicina in quella
spiaggia.
27 giugno 1719
Movimenti di
truppe austriache da Milazzo verso Messina per avviarne l’assedio 27 giugno.
Approdò una tartana in questo porto venuta da Napoli, carica d’infanteria
tudesca con alcuni cavalli. Si riferì che si stanno aspettando altre truppe per
imbarcarsi tutte e conferirsi per il Faro di Messina ed unirsi doppo con tutta
l’armata nella Marina di Tavormina. E di là condursi in Messina per
conquistarsi quella città.
28 giugno 1719
Altri movimenti
di truppe imperiali
In questo giorno vennero da Napoli e da Calabria quattordici imbarcazioni di
navi e tartane, tutte cariche di fanteria tudesca, residuo delli regimenti
mancanti. E nella notte colle medeme imbarcazioni partirono per il Canale [Stretto, ndr] di Messina per unirsi col
grosso dell’armata residente, conforme s’attestava, nella Marina di Tavormina e
luoghi convicini.
29 giugno 1719
Giungono rifornimenti
dalla Calabria per alleviare la penuria di viveri. Con l’hinterland in mano
spagnola sembra di trovarsi di fronte ad un nuovo blocco (“imbrocco”) rivolto
ad impedire il rifornimento di viveri alla popolazione Da Calabria e
da Tropea, come pure dall’isola di Lipari, la notte scorsa vennero in questo
porto diece barche cariche tutte di molti viveri, carni salate, farine ed altri
comestibili. Il che fu di molto sollievo a questa città per ritrovarsi in grave
mancamento di potersi sostentare gli poveri cittadini ed abitatori. E quasi da
nuovo imbroccata, poiché la Comarca si ritrovava alla devozione delli
Spagnuoli. Tanto che non si permettea che in città entrasse alcun ancorché
minimo vivere. Perloché assai era la scarsezza, a segno tale che ogni cosa si
comprava d’un prezzo molto esorbitante e di malissima qualità. E[p]pure nemeno
si ritrovava.
30 giugno e
primo luglio 1719
Saccheggi dei
soldati ai danni dei civili 30 giugno, 1 luglio. Con tutta la diligenza avuta
dal signor coronello comandante in questa piazza, affinché non seguissero furti
e ladrocinij dalla soldatesca in essa di presidio, seguirono molti
inconvenienti, volendo alcuni soldati a viva forza rubbare gli poveri paesani,
così di notte come di giorno, aprendo molte case così abitate come senz’alcuna
abitazione. Predando pure, in quelle che si ritrovavano senza mobile alcuno, li
legna e tavole, solo per far guadagno di pochi grani, quando peraltro si
desolavano le case intiere. Ed inoltre in molte case pretesero far violenza a
quei che in esse commoravano, essendo vuopo farsi buon passaggio solo per non
succedere peggior inconveniente.
2 luglio 1719
Continuano la
carestia ed i saccheggi A due luglio. Si ritrovava la città in gravissima
carestia di qualunque sorte di viveri, non puotendo nemeno avere dalla comarca
alcun minimo rinfresco, nemeno d’erbe, nonché di farine e legumi. Per essere
tutta sudetta comarca molt’affezzionata alli Spagnuoli. Perloché dell’intutto
s’avea tolto il commercio. Anzi, si conferirono in questa Piana duecento cavalli
spagnuoli con lacune fanterie. Perloché la città si ritrovava quasi peggio di
prima. E tutta sudetta Piana era disabitata, non comparendo persona alcuna,
restando le possessioni non solamente devastate dalli Spagnuoli, pure in
abbandono. Anzi si conferivano gli villani di detta comarca ben armati. E non
ritrovando altro si presero tutte quelle stipe di vino vuote, con romperle adattandole
in fascio sopra le loro cavalcature, spalleggiati bensì da dette truppe
spagnuole con condurle al loro paese.
3 luglio 1719
Disertori
spagnoli raccontano la Battaglia di Francavilla 3 luglio. Vennero
due desertori spagnuoli, soldati di cavallo. Riferirono la battaglia seguita
sotto Francavilla tra li due eserciti essere stata molto sanguinosa con la
morte di molti soldati, specialmente d’officiali, oltre li feriti d’una parte e
l’altra. Bensì dissero a favore della nazione spagnuola, con avere stato più
mortalità nelli Tudeschi. E di più che tutti li feriti di essi furono condotti
in Reggio per medicarsi.
4 e 5 luglio
1719
La presenza
spagnola ancora viva nell’hinterland (“comarca”) 4 e 5 luglio. Da
più giorni che nella Piana escono alcune truppe tudesche da questa città, così
di cavalleria come di fanteria. Facendo la scorta sopra l’andamenti delli
Spagnuoli. Ma non perciò questi cessavano di non farsi a vedere nelli confini,
avendo a loro devozione tutta questa comarca. Onde il residuo delle porte e
fenestre di tutte quelle case in detta Piana lasciato da questi soldati era
assassinato da quelli. Delché si può reflettere, oltre il cordoglio doloroso
delli poveri cittadini, il loro gravissimo interesse.
7 luglio 1719
Agguato della
cavalleria spagnola ai danni di quella austriaca 7 luglio. Continuando la solita battuglia delli
soldati tudeschi a cavallo, scortata da molt’officiali, anzi procedendo un
puoco lontano dalla città, bensì sempre nel territorio, in questo giorno fu
assaltata da quantità di truppe a cavallo di spagnuoli che erano posti
nascostamente in luoco ove ebbero la guida che doveano passare gli tudeschi.
Tanto che restarono prigionieri impensatamente - senz’aver campo di potersi
defendere - un tenente coronello del regimento del signor generale Zumjungen,
un capitano e venti soldati a cavallo.
Tre disertori
spagnoli. Effetti del citato provvedimento del viceré marchese di Lede per
scoraggiare le diserzioni Pure vennero in questo giorno su l’alba tre
desertori spagnuoli, uno delli quali era tudesco, altro francese e l’altro
spagnuolo. Tutti soldati di cavallo. Affermarono che tutte le soldatesche
spagnuole se n’avrebbero fuggito dal loro campo se non restassero col timore e
spavento di non essere trattenuti per la strada dalli paesani, per la
promissione - sperata da questi - fatta
dalli comandanti spagnuoli. Li quali li regalavano tutte le volte che li
portassero alcun soldato fuggitivo.
8, 9 e 10 luglio
1719
Truppe
austriache di passaggio dirette a Taormina 8,9 e 10 luglio. Approdarono
inoltre interpellatamente in questo Porto molte tartane partite da Napoli colla
condotta di molte truppe tudesche, le quali non disbarcarono, ma doppo, a li 12
del sudetto mese, tutte sudette imbarcazioni fecero vela per il Faro di Messina
per condursi in Reggio, da dove passeranno al campo verso Tavormina.
11 luglio 1719
Navigano,
costeggiando il Capo, alcune imbarcazioni spagnole cariche di rifornimenti
destinati a Messina, ove si lamentava penuria di viveri 11 luglio.
Passarono per il nostro Capo tre galere spagnuole con alcune imbarcazioni
picciole piene e cariche di viveri e provisioni. E si conferirono nella città
di Messina, nella quale si dicea ritrovarsi molta scarsezza di viveri,
specialmente di pane. Con avere mancato per più giorni. E dandosi una scarsa
porzione a testa a luogo deputato.
12 luglio 1719
Transito di un
disertore fuggito dal campo spagnolo di Francavilla 12 luglio.
Passò in questa città un soldato di nazione irlandese a cavallo, qual se ne
fuggì dal campo spagnuolo sotto Francavilla.
13 luglio 1719
Costeggiano il
Capo navigli spagnoli attaccati da un vascello britannico 13 luglio.
Sopra il Capo di questa, benché molte miglia lontano, comparirono tre galere di
Spagna con molte felughe. E viste d’un vascello inglese, quale scortava due
tartane che doveano condursi in questa città, non conseguirono danno alcuno,
proseguendo felicemente il loro viaggio per non esservi vento e ritrovarsi il
mare in calma. Bensì detto vascello da lontano li disparò quattro tiri di
cannone senz’offenderle.
14 luglio 1719
Omicidio di una
milazzese da parte del marito di S. Lucia del Mela Da più tempo
tenea amicizia Santo [segue lacuna nella
copia, ndr], panittiero della città di Santa Lucia, con [segue lacuna nella copia, ndr] La Rosa,
di questa. E per retrovarsi il sudetto Santo in tempo dell’Assedio delli
Spagnuoli fori della città, quello passato (come s’ha detto), se ne ritornò in
questa. E fu accusato alla Corte Spirituale per il commercio carnale avuto
colla detta di La Rosa, affinché sposasse la giovane. E benché da principio
avesse recalcitrato, alla fine la sposò a 9 del sudetto mese. E la notte scorsa
uccise nel letto alla sudetta sua moglie con averli tagliato la gola senza
rumore alcuno. E fatto tal delitto, si concordò la notte stessa con quattro
soldati tudeschi con averli regalato [corrotti,
ndr]. E si fece da quelli condurre con una barchetta del sacerdote Don Mario
Principato, che si retrovava nella ripa del mare sotto il bastione di
Sant’Elmo, fuori della città in salvo. Anzi, disbarcato, tre delli sudetti
tudeschi colla barchetta se ne retornarono in città e l’altro restò col
delinquente. E publicatosi [reso pubblico,
ndr] il tutto si presero l’informazioni contro il sudetto di [segue lacuna nella copia, ndr] per la
Regia Corte Capitaniale. E subìti, li detti tre soldati tudeschi confessarono
il successo, onde furono condennati tutti e tre ad esser passati per l’arme e
condotti al patibolo nel luogo determinato nel Purracchito fuori la città. Ad
uno più principale delinquente solamente fu tolta la vita con cinque palle di
schioppi, dalle truppe squadronate disparati. E condotto il secondo per
eseguirsi la sentenza come il primo, con aversi bendati gli occhi, li fu
concessa la grazia, unitamente col terzo. Alli quali, volendosi cavare il
sangue, ad uno non fu possibile uscirne una goccia, con tutto che in più parti
s’avesse tentato dal chirurgo il salasso. E ciò nonostante furono di nuovo
carcerati.